lunedì 20 gennaio 2014

Arte in bianco e nero



In bianco e nero. Una fotografia in bianco e nero ha un qualcosa di raffinato, come se celasse un mistero, se conservasse un segreto d’altri tempi. Un amore clandestino, un bacio rubato, una lettera mai consegnata, un viaggio intrapreso per fuggire al senso di solitudine o per mettere a tacere i rimorsi. Un’immagine in bianco e nero, nell’atto di nascondere i colori all’occhio, mantiene privata e intima la propria aura. La fotografia è un mezzo strano, un mezzo che non cessa di affascinare ma anche di far discutere mettendo uno contro l’altro chi sostiene la fotografia come forma d’arte e chi invece la ritiene esecuzione – prodotto – di una macchina. Filosofi di varie epoche hanno affrontato la questione e preso posizioni lungo la linea del dibattito. Alcuni sono arrivati a definirla un’arte mojenne a metà strada tra le arti nobili e quelle servili. Di fatto il passaggio al digitale ha contribuito a gettare benzina sul fuoco. È innegabile che la fotografia abbia un grado di automatismo che non hanno la scultura, la pittura e altre arti universalmente e convenzionalmente riconosciute. Ma qui la domanda è lecita, cosa s’intende per arte? Tutti possono premere un bottone ma sottratte un attimo allo scorrere del tempo è un’altra cosa. Arte è irrompere nell’ordine delle cose, introdurre un sistema di pensiero, scandagliare le regole, inventare un mondo e farlo scoprire agli altri che non lo possono inventare. In ogni settore in cui ha avuto la meglio per la funzione in cui primeggia, quella di farsi testimonianza e documento, ha affascinato e sbalordito al contempo l’occhio dell’osservatore e ha dettato le tendenze future. Pensiamo alla fotografia di moda dove ha contribuito a legittimare la sensualità dello stilista scandagliando un conservatorismo radicato negli strati più profondi della società. Pensiamo a Richard Avedon ad esempio. Pensiamo alle fotografie di fotoreporter come Robert Capa (e qui la spiegazione del perché il riferimento solo al bianco e nero). Robert Capa è il padre del fotogiornalismo e la sua produzione è quasi esclusivamente in bianco e nero. Capa ha fermato istantanee tra le più drammatiche e significative del Novecento. Nel secondo dopo guerra era accreditato per seguire l’esercito alleato durante e dopo lo sbarco in Sicilia.“Robert Capa in Italia: 1943-1944” è il titolo della mostra, adesso visibile al Museo Nazionale Alinari di Firenze, che racconta quel periodo della nostra storia attraverso gli occhi di Robert Capa. E la domanda è lecita, si può davvero dubitare che sia arte quello che si vede lungo i corridoi dell’Alinari?

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